Premesso che il “conduttore di gruppi” in ambito lavorativo è un mestiere vero e proprio, con corsi e attestazioni, tuttavia può capitare a chiunque di dover prendere le redini di una discussione: condominio, parrocchia, associazioni ricreative.
Ecco alcune regole di “sopravvivenza”, che la psicologia ci insegna…
FAR RISPETTARE I TURNI DI PAROLA
Tra adulti è abbastanza semplice: di solito, ci si ascolta, si chiede scusa se si interrompe, si chiede di poter finire il discorso. Se non funziona così, può essere che tra le persone presenti vi siano dei rancori, delle antipatie; in questo caso, armarsi di santa pazienza! Si può aspettare che la sfuriata finisca; si possono cercare degli alleati, che sappiano tenera a bada ciascuno dei contendenti con frasi rassicuranti tipo “hai ragione, ma non vale la pena discutere con quello”.
Per i bambini è praticamente impossibile: rispettare i turni di parola è una competenza sociale che si acquisisce nel tempo, ecco perchè spesso capita di trovare un gruppo di bambini che parlano tutti insieme, pretendendo attenzione senza pensare che le nostre orecchie sono solo due… Non c’è soluzione, si può solo continuare a ripetere: parliamo uno alla volta, ora tocca a…, hai parlato tu e adesso ascolti gli altri.
Per gli adolescenti la via è aperta: amano la discussione, ma spesso (ancora) parlano uno sull’altro. Un trucco che funziona bene è il cosidetto talking object, cioè un oggetto qualsiasi che faccia le funzioni del microfono: per parlare, bisogna chiedere l’oggetto scelto al conduttore e aspettare di averlo con sè.
NON METTERE IN IMBARAZZO
Tutti noi odiamo sentirci in imbarazzo, specie davanti ad altri, ancora di più se siamo tra sconosciuti. Bisogna quindi evitare di fare domande dirette, se richiedono una risposta precisa. Esempio: non chiedere a Pierino “Sai cosa significa questa cosa?”, bensì rivolgersi a tutti con: “Chi sa cosa significa…?” Magari Pierino sa benissimo la risposta, ma la domanda inaspettata e il sentirsi al centro dell’attenzione possono mandarlo in confusione.
Tuttavia anche le domande generiche possono creare imbarazzo. Una richiesta del tipo: “E tu che ne pensi?” può creare il gelo totale! In questi casi, accorrere in aiuto, con frasi-salvagente del tipo: “Sì, hai ragione: pensaci! Poi ci dirai…” Anche di fronte a risposte evasive, come “Non ho un’idea precisa…” si deve sostenere la persona di fronte al gruppo, per esempio: “Ah, ok, bene” e passare oltre.
Ovviamente non è il caso di fare esempi personali o obbligare qualcuno a raccontare particolari di sè o della sua famiglia.
CHIEDERE LA COLLABORAZIONE MA NON ASPETTARSELA
Coinvolgere i membri del gruppo è sempre una buona idea: ferma la noia, mette in moto le idee, produce risultati concreti. I modi sono vari e noti: il cosidetto brain storming, cioè scrivere le idee di tutti così come vengono dette, anche senza filo logico; dividersi in tavoli di lavoro, con un tema preciso su cui discutere e un compito da svolgere; chiedere semplicemente se qualcuno vuole leggere o scrivere al posto del conduttore.
Ma mai aspettarsi che il gruppo risponda. Se nessuno si fa avanti, per timidezza, pigrizia, disinteresse o altro, è bene essere pronti a fare da sè. Se è proprio necessario avere un aiutante, è meglio chiedere e non imporre: “Vuoi fare tu?” piuttosto che “Fai tu!”
PARLARE ASCOLTARE LEGGERE SCRIVERE
Queste quattro azioni, prese dalla didattica scolastica, tengono viva l’attenzione, in qualsiasi ordine vengano svolte. Non è necessario che sia dedicato lo stesso tempo a ciascuna azione e non importa se queste vengano svolte tutte dal conduttore piuttosto che dai membri del gruppo o siano divise tra vari soggetti: basta che siano presenti, in qualche modo.
SE QUALCUNO PARTE PER LA TANGENTE…
Può capitare che uno dei presenti si lasci prendere dal discorso e cominci a parlare di cose personali o che semplicemente non c’entrano proprio nulla con quello di cui si stava discutendo. Anche qui non si può zittire la persona, facendo notare il suo errore davanti a tutti e mettendola così in imbarazzo. Meglio cercare di interrompere il fiume di parole con espressioni di approvazione: “Stai dicendo cose giustissime, però quello che mi chiedo è…” e riportare il discorso sull’argomento principale; oppure “Capisco che queste cose sono molto importanti, non mi piace parlarne ora e qui: magari ci prendiamo un caffè domani e mi racconti, ok?”.
Se invece la tiritera è stata corta, si può approvare e proseguire: “Ah, benissimo, giusto! Ora, qualcun altro voleva parlare?”
Approvare e poi lasciar cadere il discorso funziona anche con i bambini o gli adolescenti, quando interrompono con frasi inopportune, magari solo con l’intenzione di attirare l’attenzione: “Ah, sei andato dalla nonna? Bene! Adesso continuiamo, eh?”
CHI NON HA CAPITO?
Questa frase funziona molto bene a scuola, al posto del solito “Tutto chiaro?” (al quale nessuno si sogna mai di rispondere “No”!!!). Però costringe a scoprirsi, ad ammettere una propria mancanza. Meglio quindi girare la colpa su di sè: “Sono stato chiaro?” oppure “Mi sono spiegato?”
Capito???
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