CONDURRE UN GRUPPO DI LAVORO non professionale

Premesso che il “conduttore di gruppi” in ambito lavorativo è un mestiere vero e proprio, con corsi e attestazioni, tuttavia può capitare a chiunque di dover prendere le redini di una gruppodiscussione: condominio, parrocchia, associazioni ricreative.

Ecco alcune regole di “sopravvivenza”, che la psicologia ci insegna…

FAR RISPETTARE I TURNI DI PAROLA

Tra adulti è abbastanza semplice: di solito, ci si ascolta, si chiede scusa se si interrompe, si chiede di poter finire il discorso. Se non funziona così, può essere che tra le persone presenti vi siano dei rancori, delle antipatie; in questo caso, armarsi di santa pazienza! Si può aspettare che la sfuriata finisca; si possono cercare degli alleati, che sappiano tenera a bada ciascuno dei contendenti con frasi rassicuranti tipo “hai ragione, ma non vale la pena discutere con quello”.

Per i bambini è praticamente impossibile: rispettare i turni di parola è una competenza sociale che si acquisisce nel tempo, ecco perchè spesso capita di trovare un gruppo di bambini che parlano tutti insieme, pretendendo attenzione senza pensare che le nostre orecchie sono solo due… Non c’è soluzione, si può solo continuare a ripetere: parliamo uno alla volta, ora tocca a…, hai parlato tu e adesso ascolti gli altri.

Per gli adolescenti la via è aperta: amano la discussione, ma spesso (ancora) parlano uno sull’altro. Un trucco che funziona bene è il cosidetto talking object, cioè un oggetto qualsiasi che faccia le funzioni del microfono: per parlare, bisogna chiedere l’oggetto scelto al conduttore e aspettare di averlo con sè.

NON METTERE IN IMBARAZZO

Tutti noi odiamo sentirci in imbarazzo, specie davanti ad altri, ancora di più se siamo tra sconosciuti. Bisogna quindi evitare di fare domande dirette, se richiedono una risposta precisa. Esempio: non chiedere a Pierino “Sai cosa significa questa cosa?”, bensì rivolgersi a tutti con: “Chi sa cosa significa…?” Magari Pierino sa benissimo la risposta, ma la domanda inaspettata e il sentirsi al centro dell’attenzione possono mandarlo in confusione.

Tuttavia anche le domande generiche possono creare imbarazzo. Una richiesta del tipo: “E tu che ne pensi?” può creare il gelo totale! In questi casi, accorrere in aiuto, con frasi-salvagente del tipo: “Sì, hai ragione: pensaci! Poi ci dirai…” Anche di fronte a risposte evasive, come “Non ho un’idea precisa…” si deve sostenere la persona di fronte al gruppo, per esempio: “Ah, ok, bene” e passare oltre.

Ovviamente non è il caso di fare esempi personali o obbligare qualcuno a raccontare particolari di sè o della sua famiglia.

CHIEDERE LA COLLABORAZIONE MA NON ASPETTARSELA

Coinvolgere i membri del gruppo è sempre una buona idea: ferma la noia, mette in moto le idee, produce risultati concreti. I modi sono vari e noti: il cosidetto brain storming, cioè scrivere le idee di tutti così come vengono dette, anche senza filo logico; dividersi in tavoli di lavoro, con un tema preciso su cui discutere e un compito da svolgere; chiedere semplicemente se qualcuno vuole leggere o scrivere al posto del conduttore.

Ma mai aspettarsi che il gruppo risponda. Se nessuno si fa avanti, per timidezza, pigrizia, disinteresse o altro, è bene essere pronti a fare da sè. Se è proprio necessario avere un aiutante, è meglio chiedere e non imporre: “Vuoi fare tu?” piuttosto che “Fai tu!”

PARLARE ASCOLTARE LEGGERE SCRIVERE

Queste quattro azioni, prese dalla didattica scolastica, tengono viva l’attenzione, in qualsiasi ordine vengano svolte. Non è necessario che sia dedicato lo stesso tempo a ciascuna azione e non importa se queste vengano svolte tutte dal conduttore piuttosto che dai membri del gruppo o siano divise tra vari soggetti: basta che siano presenti, in qualche modo.

SE QUALCUNO PARTE PER LA TANGENTE…

Può capitare che uno dei presenti si lasci prendere dal discorso e cominci a parlare di cose personali o che semplicemente non c’entrano proprio nulla con quello di cui si stava discutendo. Anche qui non si può zittire la persona, facendo notare il suo errore davanti a tutti e mettendola così in imbarazzo. Meglio cercare di interrompere il fiume di parole con espressioni di approvazione: “Stai dicendo cose giustissime, però quello che mi chiedo è…” e riportare il discorso sull’argomento principale; oppure “Capisco che queste cose sono molto importanti, non mi piace parlarne ora e qui: magari ci prendiamo un caffè domani e mi racconti, ok?”.

Se invece la tiritera è stata corta, si può approvare e proseguire: “Ah, benissimo, giusto! Ora, qualcun altro voleva parlare?”

Approvare e poi lasciar cadere il discorso funziona anche con i bambini o gli adolescenti, quando interrompono con frasi inopportune, magari solo con l’intenzione di attirare l’attenzione: “Ah, sei andato dalla nonna? Bene! Adesso continuiamo, eh?”

CHI NON HA CAPITO?

Questa frase funziona molto bene a scuola, al posto del solito “Tutto chiaro?” (al quale nessuno si sogna mai di rispondere “No”!!!). Però costringe a scoprirsi, ad ammettere una propria mancanza. Meglio quindi girare la colpa su di sè: “Sono stato chiaro?” oppure “Mi sono spiegato?”

Capito???

L’INTERROGAZIONE COL SINGHIOZZO

A volte, si preferisce tacere per paura di sbagliare.

Venerdì, ore 11.15: interrogazione di storia. La prof. chiama Pierino.

– Allora, Pierino, dimmi…. i Fenici!

(Silenzio…)

– Be’, se non lo sai, allora dimmi gli Egizi…

– Sì, allora, gli Egiziani….

– Gli EGIZI!

– Sì, gli Egizi. Si stanziarono lungo le rive del fiume Nilo…

– Quando?

– Dunque… nel tre…mila avanti Cristo?

– Sì, sì, vai avanti…

– Allora, il Nilo è il fiume più lungo del mondo…

– No, be’, quello è il Rio delle Amazzoni… Comunque, cosa c’entra?

(Silenzio…)

– Andiamo avanti, va’! Adesso dimmi… i Cretesi!

(Silenzio…)

– Non li sai? Allora dimmi…

– No, no, prof! Li so, li so! Allora, i Cretesi vivevano nell’isola di Creta…

– Sì, certo, è ovvio, se si chiamano “cretesi”! Dimmi qualcos’altro!

(Silenzio…)

– Non lo sai? Allora ti do un aiutino… Cosa commerciavano i cretesi? Il …? Dài, è facile! Il …? Ti aiuto: grano o legname?

(Silenzio…)

A questo punto, il povero Pierino è nella confusione più totale: il Minotauro sta ballando nella sua testa con un gonnellino egizio, mentre dalle piramidi scivolano giù delle navi fenice (lui li sapeva, i Fenici, ma la prof. ha cambiato la domanda!). Non sa più cosa dire, per cui la prof. conclude:

– Eh, insomma, Pierino, mi sembri un po’ incerto… dài, ti do 5 per incoraggiamento! Però la prossima volta studia meglio, eh!

Gli errori di comunicazione nelle interrogazioni

La psicologia viene in aiuto degli insegnanti (e forse ancor di più degli studenti!!!) con poche semplici strategie per trasformare un’interrogazione “col singhiozzo” in un momento sereno di verifica delle conoscenze degli studenti.

Uno: dare il tempo di pensare. Accertarsi che lo studente non sappia davvero quell’argomento, chiedendoglielo esplicitamente. Magari lo studente non sa da che parte cominciare e per questo sta zitto.

Due: non interrompere ogni due parole, anche se lo studente sta dicendo cose sbagliate. Meglio lasciar finire il discorso, poi riprendere gli errori e discuterne.

Tre: iniziare con domande semplici, magari introducendo l’argomento. Le domande “a bruciapelo” generano ansia in chiunque.

Quattro: evitare frasi che lo studente deve completare, magari con dei trabocchetti. Ognuno organizza i concetti secondo schemi suoi propri e non è detto che una frase ovvia per noi lo sia anche per lo studente.

Pierino ringrazierà.

DIDATTICA INCLUSIVA

equità

L’anno scorso avevo in classe 7 studenti con un Disturbo specifico di apprendimento. So che alcuni l’hanno definita una “classe differenziale”. Per gli alunni con certificazione di Dsa la normativa impone di fornire verifiche più corte, di fare interrogazioni programmate, di dare la possibilità di usare mappe e schemi.

Ora, mi posso prendere la briga di stendere una verifica “diversa” per uno o due ragazzi, ma SETTE! Non è più un “problema” di qualche studente, qui si parla di un terzo della classe! Tanto vale cambiare strategia e fare per tutti la stessa cosa…

Annunciavo l’argomento del giorno e lo scrivevo alla lavagna. Facevamo schemi e mappe insieme, che poi tutti gli studenti avrebbero potuto tenere durante le verifiche. Avevamo un programma di interrogazioni, per tutti. Usavo font più grandi e interlinee ben distanziate, per tutti. Permettevo a tutti di recuperare un eventuale voto scritto negativo con uno orale. Tra parentesi, “recuperare” non vuol dire che devi prendere un 8 per recuperare un 4, così la media matematica fa 6: chi ce la farà mai? Recuperare vuol dire che se ti interrogo sugli stessi argomenti su cui hai preso 4 e ti meriti un 6, il 4 scompare e rimane il 6.

Risultato: avevano tutti 8? No di certo! Perchè è risaputo che chi vuole studiare, studia, con o senza “aiuti”; chi non vuole studiare, non c’è verso che lo faccia. Di certo, però, alla fine dell’anno, nonostante i brutti voti presi, nessuno ha riportato una valutazione complessiva insufficiente.

La didattica inclusiva è fondamentale per gli alunni in difficoltà e contemporaneamente aiuta gli altri a imparare meglio, più in fretta e con meno fatica: che male c’è?

OGGI VERIFICA SULL’ANSIA

Mercoledì mattina, la prof. annuncia che presto ci sarà il compito in classe di grammatica. Argomento: i complementi. I malefici, infiniti complementi. L’italiano ne avrà un centinaio, a partire dai più semplici e ovvii, come oggetto, modo, tempo, luogo; ai più strani: denominazione, predicativo del soggetto, stima e prezzo, misura. Non c’è verso di azzeccarli!

Ma la prof. dice: “Preparate un cartellone con i nomi dei complementi, poi lo appendiamo in classe e durante la verifica lo potete guardare”. Qualcuno storce il naso: sì, il cartellone in classe, roba delle medie….

Invece i più intelligenti capiscono che c’è sotto qualcosa e osano chiedere: “Ma prof, non dobbiamo saperli a memoria?”.

Ecco il punto: cosa devo sapere per fare una buona verifica? O, in altre parole, quali sono le conoscenze che la scuola ritiene utili per la crescita di buoni cittadini e persone?

Sono d’accordo con voi: milioni di persone hanno vite felicissime, senza sapere che esiste una cosa chiamata “complemento di pena e di colpa”. Però, ammettendo che lo studio della grammatica abbia un qualche uso pratico, tipo scrivere una lettera o una breve relazione in modo per lo più chiaro e comprensibile, dobbiamo chiederci: cosa è davvero importante studiare?

Di certo, non i nomi dei complementi: saremo cittadini migliori perchè conosciamo le parole “complemento di moto per luogo circoscritto”? Forse sì. Ma forse, sarebbe più utile saper riconoscere quel complemento, anzichè limitarsi a conoscere il suo nome.

Obiezione: be’, intanto che impari a riconoscere una cosa, ne impari anche il nome.

Vero. Però qui entra in gioco il fattore “ansia”. Chi non ha un po’ di timore quando deve imparare un elenco a memoria? Fosse anche un elenco semplice, ovvio e familiare come la lista della spesa? Se fosse così facile, non ci sarebbe bisogno di scriverla…

Risultato: se si fornisce un elenco dei nomi, i ragazzi non passeranno il pomeriggio a preparare microscopici bigliettini scritti in alfabeti misteriosi. Durante la verifica, avranno un quadro preciso e corretto degli argomenti studiati, a disposizione di tutti. Non avranno il dubbio di aver dimenticato qualcosa. E avranno tanta, tanta ansia in meno.

I miei studenti si stupiscono molto quando fornisco loro questo tipo di elenchi, fossero i nomi dei complementi di grammatica o quelli delle figure retoriche quando studiamo poesia. Ma riconoscono che il momento della verifica diventa molto più sereno.

“Prof, ma perchè ci dà le domande del compito in classe???” “Per affrontare bene un compito occorre studiare. Se io vi do le domande, voi studierete le risposte?”. “Certo, prof!”. Obiettivo raggiunto.

MA CHI SONO I “DISPERSI”?

“Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati” scriveva don Milani nel suo celebre Lettera a una professoressa.

Non è necessario pensare a situazioni estreme, di disagio sociale o di chissà quale triste storia familiare: certo, questi sono i casi più delicati, ma per fortuna anche i più rari.

Ma chi sono allora questi “dispersi”?

Sono spesso studenti che sono andati incontro a più di una bocciatura. Se questo avviene per due anni consecutivi, la norma impone che non possano più reiscriversi a quello stesso corso di studi. Il motivo di fondo non è privo di senso: se non sei riuscito ad apprendere con profitto le medesime discipline, pur avendole studiate per due anni, forse non è il corso giusto per te, per le tue capacità…

Però, proviamo a fare un esempio concreto: Gigino ha 13 anni, è in prima superiore, ma ahimè, per una serie di motivi, viene bocciato. L’anno successivo, si iscrive di nuovo nello stesso corso, sempre in prima, con la speranza (forse più dei genitori che sua) di riuscire a farsi promuovere in seconda battuta. Niente da fare: Gigino viene di nuovo bocciato, magari con insufficienze anche in materie in cui era sempre andato bene, perchè forse, nel frattempo, si è stufato di ripetere i Fenici o i verbi transitivi.

Ora Gigino deve cambiare scuola. Dove va? Non ci aveva mai pensato. Già ci aveva messo tutta un’estate a scegliere una scuola superiore, adesso si trova a doverne scegliere un’altra! E poi saltano fuori un sacco di problemi: come arrivare nel nuovo istituto, lasciare gli amici, nuovi libri da comprare….

Ma ci sono anche altri due fattori, che spesso non vengono considerati. Il primo è che Gigino avrà perso la fiducia in se stesso, nelle sue capacità di fare qualcosa di positivo della sua vita. Il secondo è che adesso Gigino è un adolescente di 15 anni. In qualunque scuola deciderà di andare (o lo manderanno i suoi genitori) si troverà con ragazzini di 13 anni. Con una testa da tredicenni. Con atteggiamenti da tredicenni. Che lo esalteranno, perchè Gigino è più grande. O magari lo giudicheranno, perchè “a 15 anni sei ancora in prima”. Quasi sicuramente, lo isoleranno. O sarà lui a isolarsi, perchè non si trova.

Come pensate che finirà per Gigino questo terzo anno in prima superiore???

Gigino è un disperso. In altri tempi, sarebbe andato a lavorare e magari avrebbe trovato finalmente soddisfazione per sè e per la sua famiglia. Ma in questo nostro momento storico, Gigino è solo destinato a uscire dal sistema scolastico “curricolare” e ad inserirsi in una di quelle realtà di studio e lavoro, di recupero anni, di corsi professionali regionali. Meno male che ci sono anche queste possibilità! L’ipotesi peggiore è che Gigino diventi un giovanissimo disoccupato, privo di qualifiche, annoiato, arrabbiato: un peso per se stesso, per la famiglia, per la società. Ovviamente, questo può valere anche per gli studenti che vengono bocciati nelle classi più alte o per coloro che cambiano scuola subito dopo la prima bocciatura.

Per fortuna, la storia di Gigino non è vera per tutti: molti studenti ripetenti vengono poi promossi o il cambio di istituto si rivela positivo e costruttivo. Ma il fatto che uno studente su 5 abbandoni la scuola è comunque preoccupante.

Che fare? E’ evidente che il danno maggiore proviene dal secondo insuccesso, che va quindi evitato a tutti i costi. Lo ripeto: a tutti i costi. Non solo economici, magari della famiglia, spesso costretta a svenarsi per le ripetizioni private. Anche, e forse soprattutto, a tutti i costi degli insegnanti, dei compagni, della scuola. Che devono aiutare i loro “Gigini”: sostenerli, ascoltarli, curarli in modo particolare e costante. Bisogna capire perchè uno studente fallisce. La risposta: “perchè non studia!” è troppo semplice, ovvia e forse comoda.

SCHEMA PER STUDIARE UN PERSONAGGIO STORICO

NOME E COGNOME ( O SOPRANNOME):

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DOVE E’ VISSUTO:

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QUANDO E’ VISSUTO:

– NASCITA:

– MORTE:

– ANNO IN CUI APPARE SULLA SCENA STORICA:

– ALTRI ANNI NOTEVOLI NELLA SUA VITA:

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DA DOVE ARRIVA (FAMIGLIA, POPOLO, CULTURA, ECC.))

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CHE RUOLO HA NELLA SOCIETA’ (CHE LAVORO FA, CHE INCARICHI RICOPRE)

PRIMA DI DIVENTARE FAMOSO

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QUAL E’ IL SUO SCOPO O PROGETTO PER LA SUA VITA

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PER QUALE IMPRESA O AVVENIMENTO DIVENTA FAMOSO

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ALTRE IMPRESE O EVENTI CHE AUMENTANO LA SUA FAMA

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CHE RUOLO ASSUME O GLI AFFIDANO

DOPO CHE E’ DIVENTATO FAMOSO

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CHE IMPRESE O PROVVEDIMENTI ADOTTA DOPO CHE E’ DIVENTATO FAMOSO

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PER QUALI AVVENIMENTI VIENE SOPRATTUTTO RICORDATO

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COME FINISCE LA SUA VITA

[ ] RICCO                                                   [ ] MUORE DI VECCHIAIA

[ ] FAMOSO                                               [ ] SENZA EREDI

[ ] AMATO                                                 [ ] IMPRIGIONATO

[ ] DIMENTICATO                                      [ ] GIUSTIZIATO

[ ] ASSASSINATO                                       [ ] IN ESILIO

[ ] SI SUICIDA                                             [ ] POVERO

[ ] MUORE DI MALATTIA                           [ ] MUORE SUL CAMPO DI BATTAGLIA

SCHEMA INFALLIBILE (!!!) PER STUDIARE UN AUTORE

NOME E COGNOME:

VITA

LUOGO E ANNO DI NASCITA:

E’ CONTEMPORANEO A QUALCOSA DI IMPORTANTE?

[ ] SI’ (COSA?)

[ ] NO

IN QUALE CORRENTE LETTERARIA VIENE INSERITO:

DA CHE FAMIGLIA PROVIENE:

[ ] RICCA (NON DEVE LAVORARE)

[ ] BENESTANTE (FORSE LAVORERA’ CON LA FAMIGLIA)

[ ] POVERA (DEVE LAVORARE E LA LETTERATURA E’ UN HOBBY)

[ ] LA FAMIGLIA E’ DETERMINANTE PER IL SUO FUTURO DI AUTORE (PERCHE’?)

CHE STUDI COMPIE:

[ ] LETTERARI

[ ] CHE NON C’ENTRANO NIENTE CON LA LETTERATURA (TECNICI / COMMERCIALI, MEDICO / AVVOCATO / INGEGNERE, ECC)

[ ] AUTODIDATTA

CHE LAVORO FA:

[ ] UN LAVORO CHE HA A CHE FARE CON LA LETTERATURA (SCRITTORE, GIORNALISTA, INSEGNANTE, ECC)

[ ] UN LAVORO CHE NON C’ENTRA NIENTE CON LA LETTERATURA (IMPIEGATO, INGEGNERE, ECC.)

[ ] NON LAVORA, E’ RICCO DI FAMIGLIA

COME AVVIENE IL SUO INCONTRO CON LA LETTERATURA:

[ ] A SCUOLA

[ ] PASSIONE FIN DA GIOVANE

[ ] E’ UN HOBBY

[ ] INCONTRA QUALCUNO CHE LO APPASSIONA (CHI?)

[ ] PER CASO (CIOE’, COME?)

[ ] E’ IL SUO LAVORO

[ ] ALTRO:

COME PROSEGUE LA SUA VITA:

[ ] CONTINUA A FARE LO STESSO LAVORO

[ ] DIVENTA RICCO O FAMOSO

[ ] SI OCCUPA ESCLUSIVAMENTE DI LETTERATURA

[ ] DIVENTA INSEGNANTE, GIORNALISTA, ECC.

[ ] DEVE SCAPPARE PER MOTIVI POLITICI / ECONOMICI / ALTRO (COSA?)

COME FINISCE LA SUA VITA:

[ ] MUORE DI VECCHIAIA

[ ] MUORE PER UN INCIDENTE / MALATTIA /ASSASSINATO

[ ] SI UCCIDE

[ ] MUORE RICCO E FAMOSO

[ ] MUORE POVERO E ABBANDONATO

OPERE

LA SUA PRIMA OPERA E’ IMPORTANTE:

[ ] SI’, PERCHE’ ERA GIOVANISSIMO

[ ] SI’, PERCHE’ FA SUBITO SUCCESSO

[ ] SI’, PERCHE’ E’ UN FIASCO COLOSSALE

[ ] NO, E’ UN’OPERA CHE HA UN DISCRETO SUCCESSO, MA NIENTE DI PIU’ (CHE GENERE E’?)

CON QUALE OPERA DIVENTA FAMOSO:

CHE GENERE E’?

TRAMA

COS’HA DI STRAORDINARIO?

CHE GENERI TRATTA MAGGIORMENTE:

[ ] POESIA CIVILE / POLITICA / SOCIALE

[ ] POESIA D’AMORE

[ ] COMPONIMENTI BREVI / POEMETTI / POEMI

[ ] NARRATIVA (RACCONTI / ROMANZI)

[ ] NARRATIVA: AVVENTURA / AMORE / GIALLO / STORICO / PSICOLOGICO / DI FORMAZIONE

[ ] TEATRO (TRAGEDIE / COMMEDIE)

[ ] SAGGI O TRATTATI

ALTRE OPERE NOTEVOLI:

TITOLO, GENERE, TRAMA

COSA HA FATTO DI NUOVO:

[ ] NUOVE TEMATICHE

[ ] NUOVO LINGUAGGIO

[ ] NUOVO MODO DI INTENDERE LO SCOPO DELLA LETTERATURA

[ ] NUOVE TECNICHE DI SCRITTURA

SPIEGARE: COSA C’ERA PRIMA E COSA INVENTA LUI?

POETICA

IN COSA CREDE?

CHE SCOPO HA, SECONDO LUI, LA LETTERATURA?

CHE VISIONE HA DEL MONDO?

PROPONE QUALCHE NUOVA TEORIA?

La tecnologia a scuola

Venerdì mattina, ore 12.00, 2^C: Promessi Sposi. Mentre Greta legge ad alta voce, io passeggio tra i banchi e, come spesso accade, becco uno studente che gioca con il cellulare.

“Non si può usare il telefono in aula, Matteo: spegnilo”, gli dico. So che non lo farà e mi toccherà ritirarglielo, ma bisogna sempre dare una seconda possibilità agli adolescenti! Continuo a camminare e vedo che anche Andrea ha gli occhi fissi sul malefico aggeggio. Lui intuisce il mio pensiero e mi previene: “Ho dimenticato a casa il libro, prof, e sto seguendo sul cell. Posso?”

Dubbio amletico: devo imporre anche a lui di spegnere il cellulare, perché la legge è uguale per tutti? E poi, dove è finito il valore dei libri? Sentirne il peso, la fisicità… Ma non ho il cuore di impedire a un quindicenne di leggere Manzoni, solo perché lo sta facendo su un supporto non didattico. Il fine giustifica i mezzi, no?

Questa è la scuola di oggi: un’eterna battaglia tra buono e cattivo uso della tecnologia. Tentare di infilare un po’ di cultura nelle menti affamate dei giovani, mentre loro vivono esistenze virtuali e parallele in quel luogo inesistente che è la Rete. E loro, in questo perenne sdoppiamento, ci vivono benissimo. Hanno il dono dell’ubiquità: essere qui, ma anche altrove, contemporaneamente.

Pretendere che un adolescente non usi lo smartphone, oggi, è come chiedere a un impiegato di fare i calcoli a mano: possibile, certo, ma è un inutile spreco di tempo ed energie. Il guaio è che gli studenti non sanno fermarsi: se dipendesse da loro, passerebbero la mattina a scrivere e a rispondere ai messaggini. Eppure, venire a scuola costa non poca fatica! Svegliarsi alle 6.00, sopportare il freddo e il bus: forse, varrebbe la pena imparare qualcosa per se stessi… Invece no. Meglio sedersi in aula a chattare e poi ritrovarsi il pomeriggio carico di lezioni non comprese ed esercizi non svolti. Ma niente, proprio non ce la fanno a staccarsi dal cellulare! Allora tocca a te, passare per quella cattiva, che fa l’appello per controllare chi non ha consegnato il telefono prima della verifica, salvo poi scoprire che Federica ti ha dato solo la cover.

Ma la rivoluzione informatica ormai è avvenuta. E, per definizione, dalle rivoluzioni non si torna indietro. Tanto vale farsela amica, allora, questa tecnologia. Ecco dunque docenti disperati seguire corsi di aggiornamento a più non posso, cercando di comunicare con un computer che, puntualmente, non fa mai quello che gli dici. Ma, domato il toro, le possibilità che si aprono sono quasi illimitate: si può salvare un esercizio eseguito sulla lavagna elettronica e proseguirlo la settimana successiva; i ragazzi inviano le foto di lezioni, appunti ed esercizi ai compagni malati; si può rispondere alle più disparate curiosità degli studenti, cercando l’informazione nella Rete:

“Prof! Perché New York si chiama la grande Mela?”

“Matteo, scusa, cosa c’entra? Stiamo leggendo Manzoni…”

“E’ l’ultima domanda del quiz!”

“Ho capito: senti, cerchiamo la risposta, poi però metti il cellulare sulla cattedra…”.

Dopo 40 minuti e tre lettori diversi sono cotti. “Va bene, ragazzi: basta Manzoni, per oggi. Prendiamo i giornali e vediamo se c’è qualche notizia che vi interessa. Scegliete un articolo, lo leggete, poi ne parliamo”. Giro tra i banchi, faccio qualche domanda, li richiamo alla lettura. Mi avvicino al secchione e gli chiedo: “Marco, perché hai scelto proprio questo articolo?” “Mi ha colpito la foto, prof.”

In barba ai titolisti…

[Questo articolo è stato scritto per l’inserto mensile “Mag”

del quotidiano “La Provincia, numero di aprile,

su gentile richiesta del dott. Giuseppe Guin]