PREADOLESCENTI E NUOVE TECNOLOGIE – Pellai e Spitzer

Il seguente articolo è tratto da “Demenza digitale” del neuropsichiatra tedesco Manfred Spitzer. La segnalazione arriva dal manuale per genitori “L’Età dello Tsunami” di Pellai e Tamborini. Si rinvia alle opere complete per completezza d’informazione.

“L’anonimato della rete provoca (…) una diminuzione dello sforzo per mantenere un comportamento sociale adeguato. Chi ha già sviluppato le proprie competenze sociali (…) non subirà danni dai social network e li utilizzerà come il telefono, il fax o le e-mail. (…) Chi al contrario non ha ancora avuto l’occasione di sviluppare un comportamento sociale (…) corre il rischio di non acquisire una competenza sociale adeguata. (…) Internet è costellata di fallimenti sociali: fingere di essere un altro, truffare, fino a comportamenti criminali veri e propri. (…) Nei nostri bambini la sostituzione dei contatti umani reali con i network digitali può provocare una riduzione del cervello sociale.”

[M. Spitzer, “Demenza digitale”, pp. 111 – 112; A. Pellai – B. Tamborini, “L’Età dello Tsunami”, pp. 102 – 103]

CONVINCERLI A NON FUMARE – Cose da fare e da non fare – Pellai e Tamborini

L’articolo che segue è tratto dal manuale per genitori del noto psicologo dell’età evolutiva Alberto Pellai e della pedagogista Barbara Tamborini. L’intenzione è stuzzicare la vostra curiosità e spingervi a leggere l’opera completa per una maggiore comprensione… o anche solo una piacevole lettura!

“Un tredicenne di fronte a una sigaretta vede soprattutto i vantaggi che può ricavarne ADESSO (…) avere accesso a un oggetto proibito, immaginarsi più grande e capace di fare cose da grandi, ma anche conservare o ampliare il circolo delle amicizie. (…) Di certo non si mette a pensare a tutte le persone che a causa del fumo si sono ammalate.(…)

Risulta molto più utile informare i ragazzi sulle tecniche di marketing strategico e sui metodi di lavaggio del cervello a cui li sottopone l’industria del tabacco per spingerli al consumo. (…)

Aiutarli a riflettere in modo critico sulla speculazione che molti adulti stanno facendo su di loro significa allearsi con i preadolescenti (…) Non ci vedranno più come un ostacolo alla soddisfazione di un bisogno, bensì come coloro che, smascherando un falso bisogno consumistico, promuovono convinzioni e conoscenze basate sulle loro capacità di usare la propria testa”

 

L’ETA’ DELLO TSUNAMI – SOPRAVVIVERE AD UN FIGLIO ADOLESCENTE Stralci da Pellai e Tamborini

L’articolo che segue è formato da stralci presi dal manuale per genitori del noto psicologo dell’età evolutiva Alberto Pellai e della pedagogista Barbara Tamborini. L’intenzione è stuzzicare la vostra curiosità e spingervi a leggere l’opera completa per una maggiore comprensione… o anche solo una piacevole lettura!

UNA FASE DI NUOVE SFIDE

“Le domande che i nostri figli si trovano a fronteggiare a quest’età non sono dubbi amletici sull’essere o non essere, ma quesiti molto più urgenti e concreti: come posso sopravvivere al primo giorno di scuola? Come mi devo vestire per evitare che mi prendano in giro? Cosa devo fare per non essere preso di mira dai ragazzi più grandi?” [p. 24 ]

“La difficoltà è rompere il ghiaccio, fare la prima mossa. (…) Questo accadrà nell’indifferenza dei compagni, convinti che in fin dei conti se la sia cercata, perché se uno non parla è un problema suo. (…) La sfida del preadolescente sta proprio nell’allenare la capacità di affrontare il primo impatto con l’altro. Quanto più ci sforziamo, tanto meno saremo spaventati dall’incontro, dalle differenze, dal conflitto” [pp. 48 – 49, riadattate]

“Per imparare a fare qualcosa di complesso l’unica via è esercitarsi: preparare una cena, montare un armadio, andare in bicicletta agli allenamenti e tante altre piccole o grandi fatiche che non si possono improvvisare. Se chiedo a mio figlio di prendersi l’incarico di svuotare i bidoni dell’immondizia, non posso pensare che sappia subito farlo bene (…) Per questo necessita di esercizio assistito” [p. 30] “All’inizio insegnare ai ragazzi a eseguire dei compiti è molto più faticoso che farli noi, ma è una sfida che vale la pena di sostenere” [p. 40]

“Succede a tanti di noi di modificare i nostri programmi perché il ragazzo, cinque minuti prima di portarlo agli allenamenti, ci avverte che sono stati posticipati di due ore. (…) Allora eccoci qui a disdire un appuntamento affinché il giovane atleta non perda nemmeno un minuto di allenamento. E’ a causa della nostra disponibilità davanti alla loro incapacità di organizzarsi e di avvertirci in tempo dei cambiamenti che i figli imparano a delegare sempre la fatica agli adulti” [p. 37]

“Le ragazze tendono a cercare idee sempre diverse per riempire il tempo libero. Questo le porta a sentire maggiormente la noia e a chiedersi di continuo: cosa possiamo fare oggi?” [p. 43] “Scoprire che cosa ci piace fare e inventare modi nuovi per stare con gli amici richiede fatica e allenamento” [p. 44]

” Se noi diciamo bianco, loro dicono nero, se noi proponiamo di uscire, loro vogliono stare a casa. (…) Rifiutare le nostre idee è un modo per affermare se stessi” [p. 65] “Purtroppo succede che finoscano per esagerare. noi siamo quelli che dicono e fanno sempre le cose sbagliate. (…) La sfida per i genitori: non sentirsi minacciati da tutto questo e mantenere comunque il contatto positivo con il figlio. La sfida per i ragazzi: imparare a differenziarsi senza distruggere la relazione” [p. 66]

NELLA MENTE DI UN PREADOLESCENTE

“Il cervello maturo è capace di ordinare eventi e progetti e di elaborare simulazioni mentali prima di prendere una decisione. Se ci pensate, è una delle competenze più deboli nei preadolescenti, che si trovano in enorme difficoltà quando devono crearsi una visione realistica del tempo e riflettere sul modo migliore per organizzarlo” [p. 77]

“L’adulto, con pazienza, attraverso il dialogo, deve aiutare il giovane a vedere i punti deboli che rendono le sue proposte impensabili. Impensabili, appunto: perché per poter pensare a tutte le implicazioni il ragazzo dovrebbe già aver sviluppato tutta la notevole quantità di fibre che collegano l’area del cervello emotivo al cervello cognitivo.” [p. 83]

“Nella testa dei preadoloescenti l’area più sviluppata è quella legata al sistema limbico, il nucleo operativo nel quale hanno origine le emozioni e il bisogno di gratificazione e ricompensa immediata” [p. 83] “I preadolescenti trovano difficile rinunciare a comportamenti capaci di regalare gratificazioni immediate, in favore di una ricompensa più significativa che potrebbero ricevere solo molto più avanti” [p. 78]

“I preadolescenti non sono sempre inconsapevoli dei pericoli: possono conoscerli, ma decidere ugualmente di compiere un’azione perché la gratificazione che ne deriva è superiore alla consapevolezza dei rischi.” [p. 84] “Le interferenze del cervello cognitivo sono molto lente e necessitano allenamento e sostegno da parte degli adulti. (…) Se la parte cognitiva ha il tempo di lavorare, invierà a quella emotiva il messaggio: (…) ferma tutto, anche se la cosa ti sembra eccitante è meglio se questa volta rinunci.(…) Se esistesse un timer in grado di bloccarci per 10 secondi, creadno un pausa di riflessione tra desiderio e azione, i problemi che i preadolescenti procurano a se stessi e al mondo adulto sarebbero in grande maggioranza risolti” [pp. 85 – 86, riadattate]

“A tutti sarà capitato di incrociare un pedone in una via stretta. In questi casi, gli adulti si affrettano ad avvicinarsi al muro, per non rischiare di essere urtati. Negli adolescenti, invece, questa preoccupazione è pari a zero” [p. 121]

“I genitori hanno preoccupazioni legittime, legate all’impossibilità di essere presenti proprio nei momenti in cui la mente di un adulto sarebbe fondamentale. (…) Aiutare il gruppo dei pari a sentirsi corresponsabile del divertimento e dell’eccitazione, ma anche della protezione e della difesa dai rischi è di importanza fondamentale” [pp. 107 e 111]

“In questo momento il cervello è estremamente sensibile all’allenamento e al rinforzo. (…) Non allenarli al senso del limite, a sopportare una fatica e a tollerare le frustrazioni significa perdere un’occasione. (…) Fornire ai figli una buona educazione emotiva e sessuale (…) Impedire all’autonomia di trasformarsi in autogol (…) Mantenere entro confini protetti le esplorazioni.” [pp. 90 – 91] “Viviamo in un contesto socioculturale che confonde (…), convincendoli che nella vita nessuno dovrebbe mettere limiti al loro desiderio.” [p. 126]

“E’ il tempo in cui imparare a stare con gli altri, a costruire legami, a dare e ricevere aiuto.” [p. 92]

“Un preadolescente ha bisogno di sentirsi molto amato, anche quando fa di tutto per rendersi antipatico e odioso.” [p. 93] “A questa età è fondamentale non avere sempre le stesse opinioni degli adulti (…) Litigare è il modo più semplice per dire che la pensano diversamente da noi su qualcosa.” [p. 96]

“I ragazzi sono pronti a lasciarsi conquistare da adulti carismatici, che dedichino loro energie e attenzioni e abbiano vissuto esperienze interessanti. il problema è che spesso figure simili scarseggiano. (…) Quando nostro figlio esce di casa, magari sbattendo la porta perchè noi siamo i soliti rompiscatole, quali altri adulti incontra?” [pp. 106 – 107]

“Intervenire con predicozzi e spiegazioni nella fase di rabbia esplosiva non porta a nulla, anzi rischia di peggiorare le cose. (…) Dobbiamo aspettare che la curva ritorni sotto la soglia di allarme.” [p. 106]

CHE GENITORI SIETE?

“Ci sono comportamenti dei nostri figli che accendono in noi emozioni capaci di travolgerci come uno tsunami. Ma questa non può essere la regola” [p. 179]

“Quando un giovane inizia a tirare i pugni, si aspetta che dall’altra parte ci sia un allenatore competente e autorevole, in grado di bloccare i suoi colpi maldestri, reindirizzarli verso obiettivi più adeguati e soprattutto insegnargli strategie di attacco più elaborate e articolate di un raffica di colpi menati in aria senza nemmeno capire cosa stia succedendo davvero.” [p. 155]

“E’ fondamentale rimanere tranquilli e compatti, ovvero non andare in frantumi, non sentirci sbagliati e inadeguati.” [p. 155]

(continua prossimamente…)

 

 

CONDURRE UN GRUPPO DI LAVORO non professionale

Premesso che il “conduttore di gruppi” in ambito lavorativo è un mestiere vero e proprio, con corsi e attestazioni, tuttavia può capitare a chiunque di dover prendere le redini di una gruppodiscussione: condominio, parrocchia, associazioni ricreative.

Ecco alcune regole di “sopravvivenza”, che la psicologia ci insegna…

FAR RISPETTARE I TURNI DI PAROLA

Tra adulti è abbastanza semplice: di solito, ci si ascolta, si chiede scusa se si interrompe, si chiede di poter finire il discorso. Se non funziona così, può essere che tra le persone presenti vi siano dei rancori, delle antipatie; in questo caso, armarsi di santa pazienza! Si può aspettare che la sfuriata finisca; si possono cercare degli alleati, che sappiano tenera a bada ciascuno dei contendenti con frasi rassicuranti tipo “hai ragione, ma non vale la pena discutere con quello”.

Per i bambini è praticamente impossibile: rispettare i turni di parola è una competenza sociale che si acquisisce nel tempo, ecco perchè spesso capita di trovare un gruppo di bambini che parlano tutti insieme, pretendendo attenzione senza pensare che le nostre orecchie sono solo due… Non c’è soluzione, si può solo continuare a ripetere: parliamo uno alla volta, ora tocca a…, hai parlato tu e adesso ascolti gli altri.

Per gli adolescenti la via è aperta: amano la discussione, ma spesso (ancora) parlano uno sull’altro. Un trucco che funziona bene è il cosidetto talking object, cioè un oggetto qualsiasi che faccia le funzioni del microfono: per parlare, bisogna chiedere l’oggetto scelto al conduttore e aspettare di averlo con sè.

NON METTERE IN IMBARAZZO

Tutti noi odiamo sentirci in imbarazzo, specie davanti ad altri, ancora di più se siamo tra sconosciuti. Bisogna quindi evitare di fare domande dirette, se richiedono una risposta precisa. Esempio: non chiedere a Pierino “Sai cosa significa questa cosa?”, bensì rivolgersi a tutti con: “Chi sa cosa significa…?” Magari Pierino sa benissimo la risposta, ma la domanda inaspettata e il sentirsi al centro dell’attenzione possono mandarlo in confusione.

Tuttavia anche le domande generiche possono creare imbarazzo. Una richiesta del tipo: “E tu che ne pensi?” può creare il gelo totale! In questi casi, accorrere in aiuto, con frasi-salvagente del tipo: “Sì, hai ragione: pensaci! Poi ci dirai…” Anche di fronte a risposte evasive, come “Non ho un’idea precisa…” si deve sostenere la persona di fronte al gruppo, per esempio: “Ah, ok, bene” e passare oltre.

Ovviamente non è il caso di fare esempi personali o obbligare qualcuno a raccontare particolari di sè o della sua famiglia.

CHIEDERE LA COLLABORAZIONE MA NON ASPETTARSELA

Coinvolgere i membri del gruppo è sempre una buona idea: ferma la noia, mette in moto le idee, produce risultati concreti. I modi sono vari e noti: il cosidetto brain storming, cioè scrivere le idee di tutti così come vengono dette, anche senza filo logico; dividersi in tavoli di lavoro, con un tema preciso su cui discutere e un compito da svolgere; chiedere semplicemente se qualcuno vuole leggere o scrivere al posto del conduttore.

Ma mai aspettarsi che il gruppo risponda. Se nessuno si fa avanti, per timidezza, pigrizia, disinteresse o altro, è bene essere pronti a fare da sè. Se è proprio necessario avere un aiutante, è meglio chiedere e non imporre: “Vuoi fare tu?” piuttosto che “Fai tu!”

PARLARE ASCOLTARE LEGGERE SCRIVERE

Queste quattro azioni, prese dalla didattica scolastica, tengono viva l’attenzione, in qualsiasi ordine vengano svolte. Non è necessario che sia dedicato lo stesso tempo a ciascuna azione e non importa se queste vengano svolte tutte dal conduttore piuttosto che dai membri del gruppo o siano divise tra vari soggetti: basta che siano presenti, in qualche modo.

SE QUALCUNO PARTE PER LA TANGENTE…

Può capitare che uno dei presenti si lasci prendere dal discorso e cominci a parlare di cose personali o che semplicemente non c’entrano proprio nulla con quello di cui si stava discutendo. Anche qui non si può zittire la persona, facendo notare il suo errore davanti a tutti e mettendola così in imbarazzo. Meglio cercare di interrompere il fiume di parole con espressioni di approvazione: “Stai dicendo cose giustissime, però quello che mi chiedo è…” e riportare il discorso sull’argomento principale; oppure “Capisco che queste cose sono molto importanti, non mi piace parlarne ora e qui: magari ci prendiamo un caffè domani e mi racconti, ok?”.

Se invece la tiritera è stata corta, si può approvare e proseguire: “Ah, benissimo, giusto! Ora, qualcun altro voleva parlare?”

Approvare e poi lasciar cadere il discorso funziona anche con i bambini o gli adolescenti, quando interrompono con frasi inopportune, magari solo con l’intenzione di attirare l’attenzione: “Ah, sei andato dalla nonna? Bene! Adesso continuiamo, eh?”

CHI NON HA CAPITO?

Questa frase funziona molto bene a scuola, al posto del solito “Tutto chiaro?” (al quale nessuno si sogna mai di rispondere “No”!!!). Però costringe a scoprirsi, ad ammettere una propria mancanza. Meglio quindi girare la colpa su di sè: “Sono stato chiaro?” oppure “Mi sono spiegato?”

Capito???